Giovedì 29 gennaio, a partire dalle 18 alla Panetteria, uno spazio condiviso negli edifici dell’Umanitaria in via Solari 40, verranno esposti i lavori dell’artista Laura Morelli relativi al Guardaroba Emozionale, un progetto di arte pubblica e relazionale curata dall’associazione Connecting Cultures. Ve ne parlo con cognizione di causa perché ho partecipato a questa iniziativa, iscrivendomi al workshop che si è svolto in cinque incontri dallo scorso settembre fino a ottobre inoltrato. Confesso che all’inizio ero molto perplessa: apprezzo Connecting Cultures e seguo molte delle sue iniziative nel campo dell’arte e della moda, ma onestamente non avevo ben chiaro cosa si intendesse per “guardaroba emozionale”. Mi sembrava un’iniziativa un po’ campata per aria. Della serie “mai più senza”, tanto per dirla tutta.
Ho partecipato al primo incontro più spinta dal senso di curiosità e di amicizia piuttosto da un’adesione convinta. E invece il Guardaroba Emozionale si è rivelato una bellissima esperienza. Innanzitutto ho conosciuto Laura Morelli, un’artista esperta nella creazione di opere d’arte attraverso la partecipazione di persone e gruppi di lavoro. Poi perché ho aperto un canale di comunicazione speciale con le altre cinque partecipanti al workshop (tre donne della mia età e due ragazze non ancora trentenni: un’attrice, una fotografa, una scultrice, una leader di progetti culturali, un’esperta di fund raising nel settore dell’arte), trovando affinità e diversità ma soprattutto riscoprendo lo specifico della sensibilità femminile e le sue potenzialità.
Ho appreso che un abito che teniamo o preserviamo da anni in un armadio può racchiudere un patrimonio ricchissimo di ricordi e sensazioni e, una volta che tutta questa nuvola di emozioni esce dalle porte del nostro guardaroba, può illuminare percorsi imprevedibili che, se siamo fortunate, ci portano a una migliore, se non rinnovata, conoscenza di noi stesse, del nostro io, della nostra storia. Come partecipanti al Guardaroba Emozionale siamo state fortunate, perché Laura è riuscita a stimolare la nostra sensibilità dosando lo strumento della provocazione con il linguaggio dell’ironia, conquistando subito la nostra fiducia e la nostra disponibilità a metterci in gioco.
Il percorso del Guardaroba Emozionale è iniziato con l’apertura dei nostri armadi e l’analisi dei loro contenuti. Laura ci ha chiesto di estrarre abiti, accessori e oggetti che avevano per noi maggiore significato, di fotografarli e quindi di trovare un mezzo di espressione che li raccontasse. Io ho scelto la scrittura.
La richiesta di Laura era di raccontarci senza impedimenti o censure, cercando soprattutto una libertà di espressione che portasse a un flusso di coscienza.
Ho eseguito diligentemente le sue istruzioni: ho scattato le foto in una mattinata nella quale mi sono trovata sola in casa e ho iniziato a descrivere il contenuto del mio armadio bianco dalle ante a specchio. Mi sono trovata a raccontare che custodisco la maggior parte del mio abbigliamento in sacchetti di plastica, per essere pronta a infilarli in una valigia in uno dei miei – allora – frequenti viaggi di lavoro. Sta tutto imbustato, eccetto un abito di seta grigia a fiori rosa comprato da ragazza in un mercatino delle pulci a Parigi.
Un vestito che, sebbene non indossato da decenni, mi ha accompagnato in tutti i miei traslochi e trasferimenti e che se ne stava, un po’ spiegazzato e ormai abbastanza impolverato, in un angolo dell’armadio. Alla fine della mia descrizione ho annotato che amo conservare le mie cose in scatole e bauli.
Nell’incontro successivo Laura, dopo avere analizzato i lavori di ognuna di noi, ha annunciato che da quel momento sarebbe iniziato un percorso attraverso compiti individuali. Quello assegnato a me era di continuare il racconto sul mio armadio, concentrandomi solo su cinque termini e allocuzioni ricavati dal mio primo scritto:
Scatola – Impolverata – Custoditi in buste di plastica – Senza Cellophane
Abito Feticcio.
Tornata a casa, mi sono quindi trovata a scrivere che cosa rappresentasse per me la polvere, a ragionare sul mio passato, sulla mia esigenza di ordine e di efficienza, sul rapporto con il mio lavoro e tante altre cose che non avevo mai avuto modo di elaborare. Una sensazione strana: come se scrivessi di me ma anche di un’altra me stessa, che si era forse nascosta anche lei in un angolo dell’armadio, con l’abito grigio a fiori rosa. Concluso il lavoro, come da istruzioni ho inviato i miei scritti a Laura per mail.
Ero convinta che mi avrebbe chiesto di continuare a scrivere e invece, dopo qualche giorno di silenzio, è arrivato dal suo account di posta un messaggio che mi ha spiazzato:
“Ti propongo un gioco: 1) stampa i testi che hai scritto ma usa un font doppio o triplo. 2 copie per ogni testo.
1a copia: ritaglia tutte le parole che si ripetono e che indicano un oggetto (oggetto/cosa è tutto ciò che è tridimensionale). es: se usi “vestito” 8 volte, ritaglialo tutte le 8 volte.
2a copia: per ogni parola ritaglia tutte le descrizioni, le notizie, i racconti e raggruppali
POI li hai tutti davanti e a gruppi. Fai in modo che tu riesca a vedere tutti i ritagli ma che siano separati da uno spazio per avere una chiara visione d’insieme dei gruppi.
Adesso fai una graduatoria in base alla quantità di parole usate per singolo oggetto/cosa.
Cosa esce? E poi fatti la domanda: Il primo della lista è quello che corrisponde all’oggetto su cui volgio lavorare? E se mi spedisci la graduatoria ti dico il resto…
I giochi non sono mai puerili”.
Ecco la mia risposta, sempre via mail: “Ciao Laura! Mannaggia che gioco complicato 🙂. Mi devo organizzare con stampanti etc. Qual è il tempo utile di consegna per tutto?”.
E lei, implacabile: “Bastano una copisteria e un paio di forbici”.
Ho passato un intero sabato mattina per fare il gioco proposto da Laura…
Alla fine del lavoro, le ho mandato un messaggio con il risultato di quello che ho chiamato il Derby tra Passato e Futuro: Abito e Scatole a parimerito con 7 citazioni.
Da qui, il nostro successivo scambio di mail:
Laura: “Paola, carica su dropbox. Avendo un derby in corso nel tuo armadio, devi decidere se c’e’ un vincitore o se e’ pareggio. Quando hai deciso, scatta una foto del vincitore o del pareggio. E giramela. Aspetto. Laura”.
Paola: “Ciao Laura. Fatto. SCATOLA E ABITO. PASSATO E PRESENTE. TENGO TUTTO. DERBY PARI. Paola”.
Laura: “Cara Paola, bene!!! Per la prossima partita i due vincitori devono trovare nuovi schemi di gioco più efficaci, sai com’è nel gioco…c’è competizione. Nuovi schemi per te:
SCATOLA E CORPO: dove collochi la scatola sul/nel/con il tuo corpo? Che posizione assume il tuo corpo in relazione alla scatola?
FAI FOTO e carica in drbx
ABITO E CORPO: dove collochi l’abito sul/nel/con il tuo corpo? E’ chiaro che non vale indossare in modo tradizionale. Vale invece tutto il resto. Considerando che è stoffa puoi davvero farci di tutto.
Che posizione assume il tuo corpo in relazione all’abito?
FAI FOTO e carica in drbx.
PASSATO E PRESENTE: questa è la palla con cui si allenano le squadre sul campo.
L’unica cosa che ti chiedo è di essere coerente con la tua immagine interiore emozionale. Non domandarti se si capisce oppure no, l’importante è che lo capisci tu con tutta te stessa enjoy yourself. Laura”.
Non mi piacciono i giochi… ma ormai ero in ballo, e tanto valeva divertirsi. Ecco qui le foto che ho diligentemente scattato e inviato a Laura.
Ed ecco il testo della mia mail: “Fatto! Le immagini in dropbox. Sorry, la scatola è in low res ma così vengono fuori i selfie 🙁 Ciao. Paola”.
A stretto giro di posta, vale a dire dopo pochi minuti, la replica di Laura: “Paola, la scatola è perfetta! Allenati ancora con il vestito: vedo con gran piacere che è diventato una borsa a tracolla che ti porti addosso. Grande Paola! Vestito borsa che contiene ed è portato a tracolla, il passato nel presente. Lavora ancora su questa immagine interiore ma questa volta dal punto di vista formale. Prova a pensare al tuo corpo non come un semplice supporto della borsa-vestito ma come altro…divertiti sempre però. Laura”.
L’immagine che avevo inventato cercando di usare malamente Photoshop, come vedete, era terribile: meno male che poi è stata pietosamente scartata dagli elaborati…
L’incontro successivo Laura ha analizzato insieme a noi i nostri lavori e a questo punto ci ha chiesto di scegliere un oggetto o un concetto risultato da questi lavori di sintesi.
Io ho dovuto scegliere tra l’abito feticcio (il passato che mi accompagna sempre e che comunque porto sulle spalle senza sentirne il fardello) e la scatola, che dai ragionamenti fatti insieme risultava per me un oggetto da aprire per scoprire nuovi contenuti. Ne è risultato che la scatola per me non racchiude e nasconde ma, al contrario, apre e scopre. Si apre al futuro.
Alla fine dell’incontro, Laura ha chiesto a noi partecipanti, che finora avevamo agito da sole, di lavorare in coppia. Basta selfie o foto di oggetti: ognuna di noi doveva uscire all’aperto e farsi scattare dalla compagna un’immagine che rappresentasse la sua ricerca. Io ho lavorato con Raffaella, l’attrice.
Il percorso del Guardaroba Emozionale mi aveva portato alla scatola che si apre, che apre la testa. È stato quasi naturale cercare questa rappresentazione alla Triennale di Milano, un luogo che visito spesso, un magnifico contenitore di arte moderna e di design, due ambiti di grande stimolo intellettuale per me.
La foto che Raffaella, su mia indicazione, ha scattato, è questa.
Guardandola solo dopo che era stata scattata, ho capito che io risulto al centro di una prospettiva leonardesca. Ho sentito che la parola PROSPETTIVA era quella che più mi rappresentava in quel momento. Perché ha in se l’idea del futuro.
Questa fotografia racconta perfettamente quello che sono e come mi sento. Ho provato una sensazione molto intensa, di scoperta e di conferma insieme.
Anche per le altre partecipanti il percorso è stato altrettanto interessante ed emozionante. Con esiti diversi e immagini molto più suggestive della mia: che tuttavia mi rappresenta, anche nella sua assertività.
Ho consegnato tutto a Laura che ha elaborato i miei tanti contenuti componendo la mia immagine.
Laura Morelli alla fine ha realizzato sei pannelli che rappresentano la sintesi creativa delle nostre personalità e soprattutto delle nostre sensibilità. Siamo partite dall’osservazione di quelli che sembrano gli oggetti più ovvi delle vite delle donne – gli abiti e gli accessori che custodiamo nei nostri armadi – e siamo arrivati a un elaborato artistico che ha ritratto la nostra sensibilità. Il nostro dentro e il nostro fuori. Un guardaroba davvero emozionale. Un’esperienza culturale e sentimentale unica, e inaspettata. Se con questo racconto vi ho incuriosito, venite a vedere il Guardaroba Emozionale di Laura Morelli. E’ alla Panetteria di via Solari 40, dalle 18!
Questo post è dedicato a Cesarina: che ha giocato e si è raccontata con noi e forse più di noi. E che non c’è più. Milano, 16 ottobre 2015
SAPERNE DI PIU’
Laura Morelli artista, laurea in DAMS. Dal 2000 inizia una personale ricerca artistica costruendo “macchine relazionali” il cui apice è “survivor” sedia che cammina (2003). Da allora lʼinteresse per i meccanismi della relazione si combinano con il sociale e la ricerca si focalizza sulle capacità creative delle persone in ambiti di marginalità sociale. Nel 2006 fonda lʼassociazione Di +. Realizza progetti di artepubblica in Italia e allʼestero che coinvolgono direttamente le persone nella realizzazione dell’opera d’arte. Ha lavorato in: Italia, Bangladesh, Bolivia, Cambogia, Laos, Mali, Malawi, Thailandia.
Connecting Cultures è un’agenzia di ricerca non profit con sede a Milano, fondata nel 2001 da Anna Detheridge, critica e teorica delle arti visive. www.connectingcultures.info
Questo testo è stato aggiornato il 17 ottobre 2015.
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