Poche ore fa ho terminato l’ultimo di una serie di articoli sul WDW, il mega evento di Ducati che si è concluso domenica scorsa al circuito di Misano. Ci sono stata per tutto il weekend. Questa volta non ho intervistato i piloti della MotoGP e della Superbike come mi capitava di fare quando lavoravo al mio vecchio magazine ma i dipendenti di Ducati. Collaboro infatti per la rivista interna loro riservata che si chiama Motoleggere. Un bel salto da quando ero caporedattore di una rivista di moto che vendeva decine di migliaia di copie e parlavo con i campioni invece che con la responsabile del settore dedicato alle filiali, direte voi! È vero, un bel salto. Eppure durante i due giorni che ho trascorso a Misano mi è tornata la voglia di scrivere di moto, di partecipare alle conferenze stampa, di ascoltare le voci dei piloti e spiare la loro espressione per capire quanto c’è di vero nelle dichiarazioni ufficiali, di collegare il portatile al desk dove metti il tuo nome in sala stampa e iniziare a subito battere sulla tastiera per non perdere l’attacco che ti piace al nuovo pezzo.
A Misano mi sono innamorata di nuovo del mio lavoro. È rinata la passione dopo che per più di due anni, in seguito alla mia uscita dalla vecchia redazione, andare a una manifestazione di moto mi metteva disagio.
Io non sono entrata nel mondo della moto per passione. All’inizio l’ho fatto per puro interesse. La moto è stata l’occasione di partecipare nel 1999 a una start up innovativa nel mondo dell’informazione: il primo portale dedicato al motociclismo. Prima avevo lavorato nel tennis. Non mi interessavano i motori ma volevo esplorare la nuova forma di comunicazione che allora era il web. Avevo frequentato un corso di scrittura internet presso l’Ordine dei Giornalisti di Milano e venni ingaggiata perché conoscevo già i fondamentali di un linguaggio che era allora completamente nuovo: il codice html, l’alberatura dei siti, robe così. Di moto non sapevo niente, ma a questo suppliva la squadra di giornalisti specializzati capeggiata da mio marito, che era il direttore. Insieme dopo il sito web, abbiamo fondato una rivista specializzata che è stata acquisita da un’importante casa editrice. La mia carriera nel giornalismo motociclistico è cominciata così, insegnando e imparando. Insegnando ai colleghi a scrivere per un sito e imparando… tutto!
Beh, tutto non ci sono mai riuscita. Non ho mai capito di meccanica, ho fatto una fatica bestia a memorizzare i nomi dei modelli e una marea sterminata di nozioni scontate tra gli addetti ai lavori ma che per me erano impegnative come la filologia germanica all’università. Fatto sta che me la sono cavata, ho lavorato duro in quella che si chiama la cucina di redazione coordinando le sezioni del giornale che non parlavano del prodotto moto: quindi abbigliamento, turismo, lifestyle, sport. E piano piano ho cominciato ad appassionarmi. Da matrimonio d’interesse quello con la moto è diventato un matrimonio d’amore. Mi sono innamorata delle moto e degli uomini che le inventavano e le guidavano. Ho imparato che dietro a quella che è l’iconografia classica dell’ambiente – uomini rudi, mani sporche di olio,“daje de gas”, sfoggio di goliardia, tute di pelle graffiate, insomma tutti i luoghi comuni legati al motociclista – ci sono ingegneri, designer, progettisti, elettronici che si misurano in un ambito internazionale dove la competizione è massima.
E poi c’è lo sport: uno sport individuale che si svolge in condizioni estreme dove basta un niente per perdere tutto, anche la vita. Ho avuto la fortuna di conoscere e intervistare tanti piloti, tanti campioni. Ho bellissimi ricordi del senso di ospitalità di Marco Simoncelli e della sua famiglia, di Jorge Lorenzo che paragonò la sua abilità di guida al senso della musica per un ballerino, dell’intelligenza di Carlos Checa con il quale finimmo con il parlare di musica, montagna e cinema, della ruvidezza di Max Biaggi che si rilassò ricordando Boris Becker, della semplicità di Andrea Dovizioso che mi mostrò con orgoglio gli arredi della sua casa, dove notai che anche le saponette erano in nuance con il tappetino del bagno. Mi sono divertita molto in quelle interviste. Perché entravo in contatto con uomini che – al di là di limiti di età, o caratteriali che a volte si palesavano – sono dotati di un talento puro.
In questo senso mi sono sempre sentita privilegiata rispetto ai colleghi che si occupavano di politica o di gossip: nello sport non c’è spazio per i mediocri o le mezzecalzette. La moto è un ambiente selettivo dove vincono solo i migliori. Ci sono stati anche momenti molto brutti: quando sono andata al funerale del Sic e quando, ancora a Misano, ho visto in diretta l’incidente mortale di Shoya Tomizawa. Ma nel motociclismo c’è la passione, un sentimento dal potere quasi catartico che dà un senso a tutto.
È la passione che ho ritrovato al circuito intitolato a Marco Simoncelli. La passione di 81mila motociclisti venute da tutta Italia e dal resto del mondo ma soprattutto quella delle persone che hanno lavorato per l’evento e che, con la mia nuova collaborazione, ho avuto l’occasione di intervistare: uomini, ma soprattuto tante donne che attraverso il loro impegno mi hanno raccontato loro storie e mi hanno comunicato un’energia e un entusiasmo che mi ha fatto sentire contenta di essere li, di conoscere la loro realtà, di testimoniare con le mie interviste un momento di eccellenza. Mi sono divertita a fare la giornalista come quando intervistavo i piloti che in quel momento giravano in pista per la gioia di tutti gli appassionati. E ho sentito di amare di nuovo il mio lavoro.
La tipa della foto questa volta non sono io, ma questa immagine di Milagro scattata per il WDW come tutte le altre che trovate in questo articolo, è perfetta!
3 Comments
orlando778
6 Luglio 2016 at 11:23Cara, è parte di te e del Tuo Cuore.La prima foto mi ha ricordato il nostro Kapacchio, Bei ricordi passati ma sempre vivi:-) Baci con una lacrimuccia!
Paola
6 Luglio 2016 at 11:25È’ vero! Anche io ho pensato a Kapacchio che era anche lui a Misano. 😀È’ stato bello.
orlando778
7 Luglio 2016 at 13:40🙂