Marta Santomauro lavora come libraia da Gogol & Company, una delle più belle librerie indipendenti di Milano, anzi la mia preferita. La incontro spesso la mattina, quando entro in libreria per vedere che aria tira tra i libri o per fare colazione mentre scambio due chiacchiere con Lorella e i ragazzi del caffè. Marta ha un bellissimo sorriso, di quelli timidi però, con gli occhi che si abbassano subito dopo averti mostrato la loro luce e poi si posano altrove, sulle mani impegnate tra le pagine di un libro o con uno scontrino alla cassa.
Non sapevo che Marta fosse anche una scrittrice. L’ho scoperto una sera dell’estate scorsa, durante uno dei tanti incontri letterari organizzati dalla libreria, la lettura da parte di sei autori di racconti ambientati a Milano. La storia letta da Marta, Fare il Mare, aveva come protagonista Evelina, un’anziana ricoverata in una casa di cura ormai dimentica del presente ma legata per sempre al ricordo del grande amore della vita, Corrado, scomparso sulla rive del Don durante la Guerra. Un amore ambientato al Corvetto, una periferia che, in varie forme, ricorre spesso nei racconti di Marta. Una storia semplice ma struggente nel racconto preciso, nella scelta perfetta delle parole, nella suggestione delle immagini.
Ho avuto voglia di leggere altri scritti di Marta e sono andata a visitare il suo sito metticheungiornopercaso. Ho scoperto che Evelina è un personaggio ispirato dalla nonna materna di Marta (detta anche “Il Generale”), vi ho trovato i racconti che sono stati finalisti o vincitori di concorsi letterari come Subway 2013, il Premio Straparola nel 2014, Racconti nella Rete 2013 e altri pubblicati su riviste di settore. Ma anche una raccolta di immagini che hanno come tema l’arcobaleno, frammenti di poesia e un diario sentimentale raccontato in forma di brevi storie che viene aggiornato abbastanza spesso. Mi sono iscritta al sito, così mi tengo aggiornata.
Mi piace l’idea che nella mia libreria preferita ci sia una scrittrice. Marta Santomauro ai miei occhi è una figura quasi letteraria, che mi piace collocare nel piccolo film che a volte facciamo della nostra vita.
Era un po’ che meditavo di intervistarla. L’occasione mi è stata offerta dalla lettura del suo ultimo racconto, Preventivamente, pubblicato nel numero autunnale del magazine in forma di flyer FORO Un altro progetto NO BUDGET, distribuito da Gogol & Company e in altri spazi culturali a Milano, ma anche a Venezia e in Sardegna. In questa sua storia Marta racconta l’investimento emotivo e sentimentale di una storia d’amore con il linguaggio e le logiche di un business plan. Un business plan che deve fare i conti con la precarietà economica ma anche con l’incertezza dei sentimenti.
Partiamo da qui, dalla condizione dei trentenni di oggi, per iniziare la nostra lunga chiacchierata.
Marta, come vedi i ragazzi e la ragazze della tua generazione?
“Mah, forse non stiamo neanche così male… Sicuramente viviamo una condizione economica e sentimentale molto meno stabile di quella dei nostri genitori. Io sono cresciuta in una famiglia dove sono molto radicati i valori del sud Italia da cui proveniva mio padre: quindi l’importanza dei rapporti familiari, la convinzione che insieme avremmo affrontato tutti gli ostacoli, la necessità anche del sacrificio per mantenere la saldezza dei legami, l’amore che resiste a tutto. Crescendo mi sono trovata a fare i conti con la labilità delle relazioni. Troppo spesso diventava più facile lasciarsi, non mettersi in gioco fino in fondo, non darsi l’opportunità di stare insieme anche affrontando le difficoltà e questo è stato un risveglio tosto, difficile da digerire, che torna spesso nelle mie storie. Viviamo sicuramente in una precarietà economica che non favorisce scelte forti, ci siamo abituati a stare soli e a fare tutto da soli, ma questa non deve essere la scusa della nostra generazione. Sono convinta che anche oggi desideriamo solidità, amore e condivisione e che, alla fine, stiamo facendo di tutto per trovare un nostro equilibrio, lavorativo, economico e sentimentale. Anche se in un modo diverso. Certo, non abbiamo più l’illusione del posto fisso ma ci adattiamo ai cambiamenti e, dal mio punto di vista, li interpretiamo anche come una possibilità di scoprire aspetti di noi che non conoscevamo”.
– Mi racconti un po’ di te?
“Ho trentatre anni, sono nata a Milano e cresciuta a San Donato Milanese. Mio padre era originario di Gioi, un paese nell’entroterra del Cilento, in Campania. Un luogo che amo molto, che considero mio da sempre e dove torno ogni anno. Da lì vengono le mie radici ed è lì che ho costruito tanti legami che sono tutt’ora tra i più saldi della mia vita. Per me è la mia terra e la connessione con quel posto si è amplificata ancora di più da quando mio padre non c’è più. Il Cilento è, prima di tutto, mio padre. Dopo il liceo classico a San Donato e la laurea triennale in Design della comunicazione al Politecnico di Milano, mi sono trasferita a Venezia per la laurea specialistica allo Iuav. Con Milano e il Cilento, Venezia è il terzo polo dove sono cresciuta, sia a livello personale che culturale, la città del mio cuore, che per le sue dimensioni raccolte permette di coltivare i rapporti come in un paesino del sud ma che ha l’offerta culturale di una grande città come Milano. Anche lì ho una famiglia che ciclicamente sento il bisogno di tornare a trovare”.
Come sei arrivata in questa libreria?
“Dopo la laurea avrei voluto fermarmi a Venezia, quella città mi aveva stregata! Ma restare lì avrebbe significato fare altro rispetto a tutto il mio percorso di studi, e alla fine ho scelto di tornare. A Milano ho fatto per anni anche tre lavori contemporaneamente: all’inizio ho collaborato per alcune riviste come grafica, poi c’è stato un periodo in cui la mattina ero in una libreria universitaria di design in Bovisa, e all’ora di pranzo attraversavo la città per arrivare, il pomeriggio, a fare comunicazione per uno studio di architettura internazionale. Prima di Gogol ho lavorato in Electa Mondadori, dove seguivo i social media e la comunicazione web. Un percorso che sembrava disordinato e confuso, ma che alla fine si è rivelato avere un suo senso preciso: stavo sperimentando per trovare la strada giusta. Conosco Gogol and Company da quando è nata, qui ho seguito anche un laboratorio di scrittura con Paolo Cognetti. Poi, tre anni fa, ho scritto una mail ai ragazzi, sapevo che cercavano collaboratori e lavorare con loro mi sembrava un sogno. Con Danilo e Tosca l’intesa è scattata subito. Arrivando qui ho sentito che tutte le mie contorsioni precedenti, la grafica, le arti visive, il corso di letteratura, persino l’anno trascorso nel bacaro di Venezia come cameriera aveva avuto un senso: curo gli eventi, realizzo le grafiche, gestisco il sito e la comunicazione, oltre a fare la libraia. Amo moltissimo il mio lavoro e questo posto dove ho trovato un’altra famiglia”.
Torniamo alla scrittrice: i tuoi racconti hanno ambientazioni particolari e sempre suggestive. Milano interviene con dettagli circostanziati, poi c’è una periferia raccontata attraverso tangenziali, autobus, officine. Infine il sud raccontato in una dimensione bucolica, quasi favolistica, avulsa da riferimenti di luogo ma anche di tempo.
“Rappresentano le tre fasi della mia vita. C’è il Sud, il Cilento di cui ti parlavo prima che ho sempre considerato la mia terra anche se non ci sono nata e non ci ho vissuto veramente. Poi c’è quella che io definisco la periferia della periferia: un luogo che sembra definito ma che invece è un po’ inventato e dove i riferimenti geografici spesso non sono reali. La periferia della periferia assomiglia ai posti dove sono cresciuta, quelli a cui sono molto legata, ma che ho anche detestato. È il luogo che più mi ricorda la mia adolescenza e tutto quello che comporta: vedersi cambiare, innamorarsi e rompersi il cuore, credere nell’amicizia per sempre, ascoltare musica fino al mattino… Sono i posti dove giravo in bicicletta ridendo con gli amici, ma anche dove sfogavo la mia rabbia in macchina, andando di corsa su e giù per la tangenziale. Poi c’è Milano che invece quando è raccontata è davvero lei. Milano la vivo tantissimo, amo i suoi tram che mi permettono di vederla da un mezzo in movimento”.
Hai sempre avuto la passione per la scrittura?
“Sì, ho sempre scritto. Dal diario tenuto da ragazzina, alle storie da adolescente che adesso mi fanno anche molto ridere. Poi ho cominciato a impegnarmi molto più seriamente. Il primo racconto che è stato letto ed è piaciuto è Una cosa che cambia tutto, uscito con Subway 2013. Oltre al laboratorio con Cognetti ho seguito il corso di scrittura di Raul Montanari. Con Montanari sono riuscita a dare una forma alla mia scrittura, a modulare la mia voce narrativa, a trovarne una riconoscibilità”.
I corsi di scrittura sono utili a uno scrittore?
“Dipende dai corsi, ma sono convinta che confrontarsi con persone che hanno la tua stessa passione valga sempre la pena. Montanari è un grande insegnante. Le sue lezioni sono molto strutturate: si affrontavano i personaggi, i dialoghi, le costruzione della trama… e i suoi corsi sono molto impegnativi. Dovevamo scrivere un racconto a settimana su un tema che lui ci assegnava e, ogni settimana, veniva scelto un racconto da leggere ad alta voce. Attraverso questa lettura emergevano non solo gli aspetti positivi del racconto, ma ovviamente anche i limiti o gli errori narrativi, soprattutto quando eravamo tutti alle prime armi, e non sempre era facile mettersi in discussione, anzi, era durissimo! Ma era indispensabile, e credo che ogni scrittore debba imparare anche a sentire dei no, a crescere superando i propri limiti. E devo dire che sono molte le persone che ho conosciuto al corso di Raul (alcuni oggi sono diventati miei amici) che sono riusciti a pubblicare.”
Sei una persona molto riservata ma quando scrivi lo fai senza paracadute, raccontando sentimenti e storie forti: amori non corrisposti che generano solitudini, la rabbia e il dolore che non passa per persone che non ci sono più. Esperienze che sembrano appartenerti profondamente.
“Sì l’elemento autobiografico è sicuramente presente nei miei racconti. Spesso, quando scrivo, inizio da qualcosa che ho sentito, che mi è successo, o semplicemente mi ha colpito. Parto dalla vita reale e la trasformo, mi serve per farci pace o per vederla con più lucidità. Ovviamente con la scrittura tutto si trasforma, il confine tra realtà e immaginazione diventa labile, tutto è vero e niente lo è del tutto. Penso che nessuno possa scrivere senza attingere in qualche modo dalla vita. Scrivere per me ha un effetto terapeutico, mi permette di esorcizzare certe paure, di dare un ordine e una forma letteraria ai miei pensieri, di guardarli da fuori insomma. È anche grazie alla scrittura se sono riuscita ad affrontare dei momenti difficili, a capire che dal dolore può nascere una bellezza che non ci aspettiamo. La disciplina della scrittura mi consente di regolare la distanza rispetto a quello che vivo”.
Finora hai scritto racconti: ti senti pronta per un romanzo?
“Ci sto ragionando ma la struttura di un romanzo richiede molta concentrazione e dedizione. E soprattutto tempo. In questo momento faccio più la libraia che la scrittrice, ma non significa che non stia scrivendo”
Ma ti senti più scrittrice o più libraia?
“Mi sento libraia perché è quello che faccio tutti i giorni, è la mia ‘vita principale’ diciamo. Ma la scrittura torna costantemente a bussare alla mia porta! Ed è vero che, anche se lavoro in mezzo ai libri, fare la libraia e scrivere sono due vite completamente diverse. Devo confessarti che non sempre mi sento una scrittrice, ma quando ci sono persone, e ormai non sono poche, che mi dicono: scrivi, scrivi perché io voglio leggerti, beh non posso fare altro che scrivere!”.
Concludiamo allora con una domanda alla libraia: che cosa ci consigli di leggere?
“Consiglio a tutti uno dei miei libri preferiti, Questo bacio vada al mondo intero di Colum McCann: una serie di voci che si raccolgono intorno alla cornice molto magica di New York nel momento in cui l’acrobata Philippe Petit decise di attraversare il cielo tra le Torri Gemelle camminando su una fune. Ci sono tanti personaggi incantevoli e disperati: un sacerdote di origini irlandesi che aiuta un gruppo di prostitute, una coppia di artisti borghesi che non sa cosa fare della propria vita, una madre che ha perso un figlio in guerra. Ognuno di loro ha un pezzettino da aggiustare e non è detto che ci riescano ma ci sottopongono tutti la loro fragilità e la loro ricerca di equilibrio. A te consiglierei un libro molto femminile di Nasim Marashi, L’autunno è l’ultima stagione dell’anno, della piccola casa editrice Ponte 33 che lavora moltissimo con la letteratura orientale, soprattutto iraniana. Mi è caduto addosso e l’ho trovato bellissimo. Ci sono tre voci di donne in una Teheran contemporanea che ha certamente degli aspetti diversi dalla nostra situazione politica e sociale, ma le tre protagoniste affrontano scelte di vita e si confrontano con problematiche che sono quelle di tutte le giovani donne di oggi. I loro sentimenti, il loro rapporto con il lavoro e lo stare al mondo sono gli stessi che provo io”.
Grazie a Lorella Usai per la foto di apertura dell’articolo
3 Comments
Paola
7 Gennaio 2018 at 12:51Ho letto con maggiore attenzione l’intervista, e ne vale va la pena. Ho segnato i consigli di lettura, due autori che non conosco e che quindi, a maggior ragione, mi attirano. Grazie
Paola
15 Novembre 2017 at 17:49Devo andare! Sono una lettrice accanita 🙂
Paola
15 Novembre 2017 at 18:33Se non abiti lontano da Zona Savona-Tortona, Gogol&Company è una libreria indipendente da visitare! Vi troverai Marta ma anche gli altri librai, giovani, appassionati e competenti. Poi c’è un caffè delizioso, pieno di cose buone. La consiglio assolutamente!