La moda di Massimo Crivelli è fatta di azzardi e morbidezze, in omaggio alle opere architettoniche di Oscar Neimeyer o al design di vetture mitiche, come la Miura Lamborghini. Abiti dalle curve sensuali come le volte di un edificio di Brasilia o definiti da effetti tridimensionali come le prese d’aria che scorrono sulla carrozzeria di una supersportiva.
Creazioni bellissime e visionarie che questo singolare fashion designer dall’animo colto e gentile dedica a donne che sanno conoscere, pensare, sognare.
Capi che si rappresentano come piccole opere d’arte, uniche per l’utilizzo di tessuti esclusivi, la realizzazione sartoriale, le lavorazioni artigianali, l’ispirazione derivata dalle esperienze artistiche dello stilista, dal suo inconscio e il suo vissuto, attraverso una ricerca che non segue mai sentieri battuti.
E che si presentano al mondo anche in contesti per niente scontati, come la recente sfilata di moda inclusiva di Iulia Barton all’ultima Milano Fashion Week, dove modelle in carrozzina o con amputazioni hanno sfilato accanto a modelle “standing” indossando le creazioni di alcuni tra i più interessanti designer del made in Italy. Quelle di Massimo Crivelli si sono distinte per un’eleganza che esaltava i corpi di tutte le donne, in ogni condizione. Una bella sfida che lo stilista ha raccolto con convinzione ma anche con la sobrietà che rappresenta la cifra distintiva del suo essere uomo: “Nel nostro ambiente è facile criticare, fare valutazioni sull’opportunità o meno di certe iniziative. Spesso la disabilità, o la non conformità a certi canoni estetici, nella moda vengono utilizzate a fini utilitaristici. Ma qui stiamo parlando di vita vera, non dello sfruttamento di un momento mediatico: di persone splendide che come tutti noi si vestono e come noi amano la moda. L’energia e la caparbietà delle belle ragazze che hanno sfilato supera quella delle modelle ordinarie e mi ha colpito in maniera straordinaria”.
Il percorso che ha portato Massimo Crivelli a creare il proprio brand di moda non è convenzionale. Nato a Varese da una famiglia di antiche tradizioni milanesi impegnata da generazioni nella produzione e lavorazione di tessuti, dopo gli studi di arte e una laurea in giurisprudenza, Crivelli ha lavorato a lungo nella moda, prima per importanti linee londinesi e poi nella collaborazione decennale con un marchio internazionale di nouvelle couture.
Conclusa quell’esperienza, il bisogno eclettico di esprimere la propria passione per il design lo ha portato alla creazione di una propria linea, lanciata nella primavera del 2007: “Dopo tanti anni immerso nel contesto esaltante quanto logorante del fashion system, ho potuto fermarmi e ritrovare il senso del tempo, godendo del privilegio di dedicarmi a qualcosa che piaceva a me. Ho cominciato a realizzare cose di mio gusto ripercorrendo la strada di riconciliazione con il mio passato e la mia infanzia ed è stato un momento fondamentale.
Sono stato un bambino sognante che scriveva poesie, ideava rappresentazioni teatrali dove il mio grembiule di scuola diventava un frac, dipingevo e suonavo il pianoforte.
Erano passioni che coltivavo quasi di nascosto, con un senso di imbarazzo, perché male si conciliavano con il futuro di avvocato o manager che la mia famiglia aveva in serbo per me. Ricominciando il mio percorso nella moda, ho ritrovato il bambino che giocava a fare l’artista”.
Una forte ispirazione sono state le icone stilistiche degli ultimi Anni ’60: “Ripercorrendo la mia infanzia, ho riscoperto i canoni estetici e i riferimenti di allora: Courrèges e Cardin, la musica dei Beatles, gli edifici di Oscar Neimeyer o Gio Ponti. Sono fortemente influenzato dal design industriale. Ho creato una collezione ispirata alla Citroen Ds, un capolavoro di design che mi dava sensazioni fantastiche e ne ho fatto dei vestiti!”.
A ispirarlo un’idea di donna che viveva da protagonista nelle fantasie di bambino innamorato del cinema: la giovane Brigitte Bardot, Ursula Andress versione Bond Girl ma soprattutto l’attrice Diana Rigg, protagonista nei panni di Emma Peel di “Agente Speciale” , una mitica serie televisiva degli anni ’60. “Adoravo e adoro tutt’ora Emma Peel – sorride Crivelli -. Era intelligente, ardita e terribilmente sexy. Le tute, così presenti nelle mie collezioni, sono un omaggio al suo stile”.
Per la primavera-estate 2018 Crivelli ha giocato sulla contrapposizione di linee pulite e forti fantasie, un’allegria di tessuti e abbinamenti nei colori fucsia, verde, corallo, che sfiora l’etnico: “Sono partito dal disegno di una donna-albero, fortemente radicata al terreno ma con le braccia protese verso il cielo: un’immagine evocativa della vita, della maternità”. Un motivo ricorrente sulle candide camicie e declinato nelle grafiche dei capi più colorati in organza. Accanto a questi temi, la rivisitazione di alcuni elementi della sartoria maschile, come le plissettature da smoking, un tocco di raffinata teatralità nel rigore delle camicie in popeline.
Una collezione ricca di spunti e suggestioni ma che sfugge a un titolo, a una definizione, un claim. Volutamente: “Sono consapevole che un messaggio esplicito e chiaro abbia maggiori possibilità di essere percepito. Però intimamente avverto una repulsione per l’ovvietà e l’immediatezza. Il mio amore per il design industriale è suggerito da riferimenti stilistici alle soluzioni aerodinamiche presi dal mondo dei motori. Ma, in estrema sintesi, non potrei mai piazzare lì l’immagine di una Vespa. È difficile non utilizzare riferimenti espliciti in una società che si alimenta di semplificazioni e in un sistema moda come quello di oggi che vive di pecette. Ma proprio non riesco a fare altrimenti”.
Ma è proprio il gioco di allusioni, di riferimenti sottili, di raffinate rappresentazioni a sedurre nelle collezioni di Massimo Crivelli. Il fascino di una suggestione non dichiarata, ma intuita: la dimensione sognante, quasi fiabesca, che è il grande incanto della moda.
MASSIMO CRIVELLI
Pagina Facebook, profilo Instagram
1 Comment
Paola
31 Marzo 2018 at 22:05Bellissimi, mica facile trovarne di davvero così eleganti