Il Fattore F è una mostra piccola che non si dimentica. Una collettiva che raccoglie il lavoro di cinque donne artiste, differenti per età, nazionalità ed estrazione sociale ma tutte accomunate da percorsi intensi, vissuti spesso ai margini e la dote di un talento espresso lontano dall’ufficialità delle accademie. Disegni tracciati con pastelli, sculture che si accartocciano su se stesse, tele quasi soffocate dall’ossessiva presenza di segni e di colori. Opere a volte rozze fino alla brutalità che tuttavia ci colpiscono in una maniera imprevista e inaspettata, lasciandoci negli occhi lo sguardo spalancato di altri occhi, nella mente le trame di vite sfilacciate, nello stomaco il forte senso di allarme che si avverte di fronte al dolore.
Sono i lavori di Marie-Claire Guyot, Cristina Martella, Nabila, Franca Settembrini e Annamaria Tosini, protagoniste di questa mostra singolare curata da Antonia Jacchia, titolare della galleria Maroncelli 12 dove Il Fattore F, Femminilità, fragilità, forza va in scena fino al 28 settembre prossimo.
Antonia Jacchia è stata per oltre vent’anni giornalista al Corriere della Sera prima di dimettersi nel 2013 e realizzare il sogno di aprire una sua galleria d’arte. Prima ancora, dopo la laurea in Economia, una lunga permanenza a New York, nell’East Village dove ha vissuto e lavorato per otto anni, dal 1982 all’89, negli anni d’oro dell’avanguardia artistica, iniziando a collaborare come freelance per le principali testate italiane.
“Ho amato molto la mia professione – si racconta -. Un lavoro che mi ha dato tanto ma mi ha anche chiesto tanta energia e moltissimo impegno. Da qualche anno, mentre al Corriere scrivevo prevalentemente di economia, coltivavo una passione mai sopita per l’arte e il suo mondo e, avendo la disponibilità di questo spazio in via Maroncelli, ho inaugurato nel 2014 questa galleria dedicata all’esplorazione dell’Art Brut”.
Il concetto di Art Brut, mi spiega Antonia, è stato inventato dal francese Jean Dubuffet per definire le produzioni artistiche realizzate da persone che non hanno avuto una formazione accademica e che vivono ai margini, sovente degenti di ospedali psichiatrici o anche in istituti di pena dove spesso frequentano laboratori creativi interni. Il sinonimo inglese di Art Brut è Outsider Art, termine coniato nel 1972 dal critico d’arte inglese Roger Cardinal. In Italia si parla di Arte Irregolare: la principale teorica di questa espressione artistica è Bianca Tosatti che nel 2013 aprì per un breve periodo a Sospiro, in provincia di Cremona il MAIMuseum, Museo dell’Arte Irregolare, un progetto poi naufragato quindici mesi dopo.
Non è un contesto agevole quello dell’Art Brut ma è una dimensione che mette a contatto l’arte con la vita vera senza la presenza di filtri, regalando all’osservatore un’esperienza autentica, quasi istintuale.
Vale quindi davvero la pena di visitare la mostra di Antonia Jacchia e conoscere così i lavori e la vita delle artiste rappresentate attraverso il suo racconto competente e appassionato. Con la descrizione delle singole opere, la disanima dei materiali utilizzati, i temi affrontati dalle artiste, Antonia vi porterà dentro le esistenze di donne segnate dal disagio psichico e persino dalla detenzione ma anche capaci di esplorare la propria anima riconoscendone la fragilità e di trasformarla, con il potere catartico dell’arte, in creazioni forti.
Come Marie-Claire Guyot (Parigi 1937-Milano 1991), francese di nascita e sposata a un italiano che ogni estate torna alla vecchia casa di famiglia in Borgogna dove condivide con la sorella il percorso artistico. In un’esistenza borghese confortata dalla protezione affettuosa del marito e della famiglia, Marie-Claire Guyot descrive attraverso la rappresentazione di personaggi immensi o minuscoli, animali e simboli, bocche e ventri, gli uni dentro gli altri, con i denti serrati dal dolore: una sofferenza silenziosa che l’artista non vuole mostrare a nessun altro, nemmeno alle due figlie. Solo la sensibilità di Louis Deledicq, esperto d’arte a cui ogni anno Marie-Claire consegnava regolarmente i suoi lavori, ci ha permesso di conoscere il suo talento di artista. Alcune delle sue opere fanno parte delle Collezione permanente del museo di art Brut a Bègles e della casa dell’Art Brut a Casteggio.
L’egiziana Nabila invece vive al Cairo fino ai 20 anni, poi si sposa e si trasferisce in Italia. Ma il matrimonio va male e in seguito a situazioni difficoltose e a una vita da emigrante che la portano a perdere il controllo di sè, Nabila viene ricoverata per qualche anno all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mantova). Inizia a dipingere nell’atelier Alce in Rosso, un laboratorio di pittura diretto da Silvana Crescini. Nelle sue tele riproduce le immagini che “vede” nei fondi di caffè: una moltitudine di figure incastrate fra di loro e in seguito raffigurate attraverso le macchie colorate. Le opere realizzate nell’Atelier sono state esposte in diverse mostre.
Cristina Martella nasce ad Atri, in provincia di Teramo, dove vive e lavora. Fin da bambina è attratta dalla pittura ma i genitori non la incoraggiano in questa sua passione. E lei, per assecondarli, si laurea in Economia Politica a Pescara. Dopo l’università e un breve viaggio a Londra, prende il coraggio e la sua vita tra le mani e si dedica esclusivamente alla pittura passando dal figurativo a un segno maturo e personale frutto di una fantasia e un’immaginazione viva. Le sue opere sono esplosioni di natura, fiori, insetti volanti, tanto fantastici quanto reali: “dipingo quello che vedo”.
Franca Settembrini (Firenze 1947-2003) dipinge un universo femminile dalle tinte sgargianti. Un mondo costellato di bambine, giovani della musica leggera, donne dalla folta capigliatura, dagli occhi penetranti, dalle mani con dita lunghe e affilate che sembrano ali. Ricoverata nell’Ospedale Psichiatrico di Firenze a 11 anni, nel 1976 scopre la pittura nello storico laboratorio di attività espressive La Tinaia. Dal 1991 al ’95 continua a dipingere nell’atelier dell’Opg di Castiglione delle Stiviere dove viene trasferita in seguito a un piccolo furto. Grande protagonista dell’Art Brut, Settembrini è presente in varie collezioni pubbliche europee tra cui il Museo di Losanna.
Le fragili sculture di carta riciclata spesso accompagnate da testi poetici e ricordi disposte sul grande tavolo della galleria sono opere di Annamaria Tosini (Palermo 1930-2013), che le realizzò negli ultimi quindici anni della sua vita. Donna dal passato brillante e creatrice di giardini come quello nella villa di famiglia di Casteldaccia dove aveva passeggiato Jorge Luis Borges, Annamaria Tosini fu costretta per un rovescio di fortuna a vivere da esiliata in una struttura assistenziale, cercando nell’arte una via di salvezza dalla propria difficile situazione. Purtroppo le sue opere vennero periodicamente distrutte. È solo grazie all’intervento dell’Osservatorio Outsider Art di Palermo che sono stati conservati i lavori realizzati nel suo ultimo anno di vita.
Anche la storia di Annamaria Tosini, come quelle delle altre quattro artiste rappresentate in Fattore F è la testimonianza di una sensibilità e di una fragilità che appartengono dolorosamente alla condizione femminile. Una sofferenza che tuttavia, nel caso di queste donne artiste, porta dentro di sé la capacità di elaborare anche la quotidianità più avvilente in un’esperienza creativa. Una rappresentazione dell’arte al femminile che rimane nella mente, negli occhi e nel cuore.
Foto di Lorella Usai
IL FATTORE F
Femminilità, fragilità, forza
Dal 24 maggio al 28 settembre 2018
Maroncelli12
Via Maroncelli 12 – Milano
Da martedì a venerdì 12.00-19,30
1 Comment
Paola
7 Luglio 2018 at 16:48Intanto bentornati 🙂 Andrò a vederla visto che si protrae per tutta l’estate, e mi sembra davvero interessante. Lì vicino c’è Il Vicolo, un’altra storia con una bella impronta femminile