L’Occhio del Pettirosso, l’ultimo libro di Giuliana Altamura, seduce al primo sguardo. La copertina, un surreale profilo di donna, è bellissima e il racconto è subito intrigante, nell’ambientazione quasi cinematografica dello studio di un veggente strabico alle prese con le domande di un giovane scienziato che, come il sensitivo, vorrebbe vedere la realtà libera dai vincoli del tempo e dello spazio. Errico Baroni, il fisico del CERN protagonista del libro, aspira a ottenere una visione quantica, senza limiti tra passato, presente e futuro per cogliere il senso intrinseco della vita, la conoscenza suprema.
Non gli basta progettare a Ginevra un computer quantistico in grado di elaborare milioni di risposte ai quesiti più inaffrontabili a una velocità superiore a quella della luce. Lui non vuole solo ‘capire’, lui vuole ‘vedere’: andare oltre. In questo racconto della sua ossessione, narrato in prima persona, Errico ci condurrà presto in una casa di montagna dove si rifugia per qualche giorno con la moglie Greta, una poetessa alla ricerca d’ispirazione per il suo nuovo libro in versi. È la casa della sua infanzia, resa però irriconoscibile dagli interventi del fratello architetto, dove la distanza che già lo separava da Greta, si dilata ancora di più. In un’atmosfera che si fa sempre più cupa, Errico placa l’ansia dopo notti agitate nelle corse solitarie sui sentieri del bosco circostante dove è facile perdersi. E qui, nel surreale ristorante Golden Mountain avviene l’incontro con il rozzo titolare Ruben e il mistero della moglie cinese Jinrou, una donna che indossa degli occhiali in grado di schermarla da una particolare luce blu che le indica istintivamente l’orientamento. Come gli occhi del pettirosso che danno il titolo al libro, anche Jinrou è dotata di uno sguardo quantico, una bussola che la dirige istintivamente nelle migrazioni della vita. Sarà proprio cercando di carpire il segreto di Jinrou che Errico rivedrà le convinzioni della propria esistenza, regolando i conti con il dolore di un passato che gli impediva di delineare il suo futuro.
Sono venuta a conoscenza del libro di Giuliana Altamura su indicazione di un’amica giornalista che mi aveva caldeggiato la lettura, segnalandomi L’occhio del Pettirosso come il libro del momento. Mi sono subito lasciata conquistare dall’originalità della storia, la ricerca del senso della vita di questo moderno Faust, alle prese con un’esistenza fondata sulla fede della scienza e la logica degli algoritmi e il senso di alienazione verso tutti i contesti – professionale, famigliare, matrimoniale – nei quali si svolge la sua vita.
Giuliana Altamura ci racconta il travaglio di un uomo che non riesce a connettersi con un mondo che vorrebbe possedere e conoscere totalmente e che lo lascia fuori da una porta che prima metaforicamente e poi realmente il protagonista dovrà aprire. Per accompagnarci dentro questo percorso, l’autrice ricorre alle nozioni della fisica e della filosofia quantistica, alla biologia, all’economia delle criptovalute e dei bitcoin. Uno scenario assolutamente contemporaneo per una storia dalle atmosfere gotiche raccontata con il ritmo di un thiriller.
Per la combinazione di tutti questi elementi la lettura dell’Occhio del Pettirosso ha rappresentato un’esperienza inedita e particolare, una specie di corsa a ritmo sincopato che mi ha lasciato con tante domande sul protagonista del libro e sulla sua autrice. Poche ore dopo avere concluso il libro ho contattato Giuliana Altamura per chiederle un’intervista che abbiamo fissato nel giro di qualche giorno via Zoom.
Dalle notizie ricavate dal web sapevo che è nata a Bari 38 anni fa, che è diplomata in violino e specializzata presso l’Università Cattolica di Milano in filologia moderna, che è stata dottore di ricerca in storia del teatro e che L’Occhio del Pettirosso è il suo terzo romanzo, dopo Corpi di Gloria pubblicato per Marsilio nel 2024 e L’orizzonte della scomparsa, edito sempre per Marsilio nel 2017.
Ero preparata all’incontro con una scrittrice di successo, alle prese con un calendario di promozione molto fitto da assolvere con rapida efficienza. Ho conosciuto una giovane donna molto simpatica con la quale è stato spontaneo passare al tu, ben disposta a parlare del libro in una pausa dell’attenzione al binbetto che l’ha resa mamma 14 mesi fa.
“Non è tanto semplice tenere insieme tutto quanto – ammette ridendo -. Non scrivo nulla da quando il nostro bambino è nato. Il romanzo era già finito prima che nascesse. Quest’ultimo anno è stato dedicato all’editing e alla revisione ma non ho la concentrazione e le energie mentali e soprattutto le ore di sonno per focalizzarmi su una nuova storia e nuovi personaggi”.
L’Occhio del Pettirosso non rientra in quella narrativa prettamente femminile e intimista che costituisce una comfort zone per tante lettrici come me. Come definiresti il tuo romanzo?
“Dal mio punto di vista è un romanzo letterario. Se intendiamo la letteratura come un’esplorazione della realtà che viviamo, è un racconto del nostro mondo contemporaneo. La storia del percorso di trasformazione di un uomo che deve fare i conti con il suo dolore e pace con il suo passato. Prima di tutto è una storia umana, al di là di tutte le tematiche filosofiche che sono implicate nel racconto. E’ un libro leggibilissimo anche da chi non ha nessuna conoscenza nell’ambito della fisica”.
Errico studia la fisica quantistica. Perché una branca della scienza così particolare?
“L’ispirazione primaria del romanzo è il mito di Faust, il grande archetipo letterario dell’uomo che desidera la conoscenza totale.Volevo descrivere un Faust in chiave contemporanea e Faust oggi sarebbe stato un fisico quantistico.
Devo ammettere che all’inizio ho fatto fatica a orientarmi nel contesto e sono andata a ricercare cosa fosse la filosofia quantistica. Ne avevo sentito parlare, ma non al punto da seguire un ragionamento e un racconto. Per quale motivo hai impostato un livello di lettura della tua storia su questa teoria?
“Perché è una materia che mi affascina ed ho voluto raccontare il presente attraverso una rivoluzione culturale. La fisica quantistica ha destabilizzato tutte le certezze della scienza con un impatto filosofico molto forte sul modo in cui noi guardiamo il mondo. Sono affascinata dall’idea che la realtà non sia una ma venga modificata dal nostro sguardo o che tutto quanto sia energia e che ogni particella sia legata a un’altra anche se sono distantissime tra di loro. Trovo bello che queste materie siano trattate all’interno di una storia che ha un suo ritmo narrativo. Certo non è puro intrattenimento, però credo che la letteratura, quella vera, non debba rassicurare ma anzi sconvolgere, metterci in discussione”.
Perché la scelta della voce narrante maschile?
“All’inizio era scritto in terza persona come i romanzi precedenti ma dopo una cinquantina di pagine mi sono accorta che non funzionava, che la voce di Errico mi chiedeva di emergere, di raccontare la storia dal suo particolare punto di vista. Il personaggio di Errico è razionale e molto freddo, quasi alienato nel suo mondo fatto di numeri e di ricerca. La terza persona creava un altro filtro che lo rendeva molto lontano”.
Ma tu, sei sei più Greta o più Errico?
“Sono due aspetti di me, due facce della medaglia e rappresentano il mio maschile e il mio femminile in senso junghiano. Ho in me una parte molto razionale e doverista, meticolosa, che è quella di Errico. E al contempo una sfera creativa che è caos, che è oscura e legata all’onirico e che appartiene a Greta. Sono due parti spesso in conflitto tra loro e, come i personaggi del libro, alla ricerca di una sintensi”
Il romanzo ha un’atmosfera inquietante e sospesa e un paesaggio forte quasi come i personaggi.
“Nel libro il protagonista compie un viaggio interiore. Volevo che ci fosse questa sensazione di sospensione in una dimensione onirica. Spesso ci capita di fare dei sogni complessi nei quali rielaboriamo qualcosa che era inespresso dentro di noi e che una volta svegli ci lascia risolti e sollevati. La letteratura fa qualcosa di simile: rende l’immaginario elaborato dell’autore. C’è una parte di lavoro razionale ma anche molto inconscio e quando finisci il libro senti tu stesso di avere risolto qualcosa di tuo”.
È capitato a te per Gli Occhi del Pettirosso?
“Sì. Quando ho iniziato a scrivere il romanzo non pensavo minimamente che ci sarebbe stato un figlio nella mia vita. Poi ho finito il libro e sono rimasta incinta, come se insieme a quella dei personaggi, ci fosse stata anche in me una rielaborazione che mi ha portato a una crescita e una maturazione personale: alla fine mi sono sentita pronta alla maternità”.
L’Occhio del Pettirosso, Giuliana Altamura, 168 pp. Mondadori, Italia, 2022.
La copertina è di Daria Petrilli.
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